giovedì 31 maggio 2012

Rischio contagio o isole felici?

Quando si vede che qualcosa funziona o va bene, mettiamo sia un'attività o un'aeroporto, in tanti pensano e a volte dicono "si, però, aspetta e vedrai che poi le cose cambiano": in negativo s'intende. In questo pensiero, in questa frase, si racchiude tutta l'invidia e l'insicurezza che è tipica in chi vive di rendita parassitaria, che lavora e guadagna in regime di monopolio, che non si è mai confrontato con altri concorrenti e che non deve,appunto, farlo per vivere. Il punto è che
una valida realtà e un'attività che è viva e si muove, se però si deve fare strada in un'area piena di tombe e di carogne, troverà arduo durare non dico due o tre anni, ma anche cinque. E ciò perchè c'è la tendenza,anche quando si sono ottenuti dei buoni risultati, a sedersi e compiacersi del risultato, invece di consolidarlo e di radicarlo per bene fino a valutare espansione o esportazione del proprio modello o attività. Non solo: c'è anche chi rema contro e promuove idee diverse, o meglio economie e tipologie lavorative, commerciali, professionali, a suo dire alternative. Penso ai discount, alla cultura dell'ipermercato o città mercato, degli outlet, del low cost a 360° o quasi: ci sono infatti categorie protette che si tutelano a tutti i livelli e con ogni mezzo. Invece sarebbe produttivo per tutti reinventare e rivalutare sia le categorie professionali del precedente post, sia altre tra cui la mia, quella dei venditori e nello specifico degli agenti di commercio. Il contagio di cui parlo nel titolo consiste nel mortorio che può ,anche rapidamente, coinvolgere aree un tempo produttive e dove attività sane invece di contagiare la positività vengono infettate dall'epidemia di chiusure, fallimenti, delocalizzazioni. In questo anche le esternalizzazioni che praticano diverse aziende o che lo hanno fatto in passato, sono dei danni.Ma anche commissionare oltre mare l'acquisto di manufatti o prodotti finiti, è un danno. In questo momento i consorzi, le associazioni, le varie camere ci commercio e il ministero, dovrebbero scolarizzare e quindi ottenere che gli acquisti principali e più importanti avvengano in Italia e con prodotti made in Italy: ma non per obbligo ma per senso civico e con l'impegno ,da parte di tutti, di realizzare articoli di qualità. Idem come sopra per i commercianti e per la loro filiera: imporre no ,ma invogliare a rivalutare il made in Italy, e ciò a tutti i livelli, dal dettagliante al grossista. Infine il consumatore finale, che poi lo siamo tutti almeno una tantum: insegnare a leggere le etichette ,a conoscere ciò che si compra, a valutare l'acquisto per sapere ad esempio quanto ci durerà questa maglietta o questo reggiseno, o anche questo mobile o questa lavastovoglie. Quindi informazione sì , ma anche convizione in ciò che si sta facendo coinvolgendo gli altri colleghi: e ciò prima di pensare a lavorare con l'estero e pensare solo a quel tipo di mercato, e anche con la certezza che un nuovo governo, non certo questo , possa impegnarsi per riportare le aziende di pregio nella penisola e a non svendere agli angloamericani quelle ancora valide e strategiche. Ci hanno abituato attraverso i media a non sognare, o meglio a usare i sogni altrui,che ci invogliano solo a comprare e non a realizzare ciò che sentiamo. Da piccoli ci hanno sempre detto di non credere ai sogni, e ultimamente c'è quasi una cultura ,falsa secondo me, del low cost e che è presente in quasi tutti i campi.Dai tempi dei libri in brossura fino al falso minimalismo che c'è in alcuni tipi di arredamento, siamo giunti al low cost nel modo di pensare e quindi di agire: non mi riferisco solo al ridotto numero di vocaboli che ogni giorno andiamo a scegliere nella nostra edizione economica che abbiamo (che ci hanno messo) nel cervello e che attraverso i programmi spazzatura e i vari tg e talk show ci invitano a usare. Del resto perchè andare a ricercare il piacere di conoscere termini nuovi e più appropriati quando ne abbiamo un già pronto che conosciamo? Perchè mai perdere tempo in piaceri solitari (non in quel senso anche se secondo gli psicologi fa bene e non male) quando se "nessuno condivide la tua lettura,il tuo film o musica, il tuo agire ,se nessuno ti vede, non sei nessuno?Perchè andare da soli a visitare un museo o vedere un film, quando puoi andare al mare in comitiva? Ecco che le tue eventuali iniziative, buone, partorite nei sogni e nei momenti tuoi, vengono bocciate o trovano ostacoli di tutti i tipi: dalla burocrazia alla credibilità, dall'accesso al credito fino al riscontro finale, la piazza. Ma se i primi a non crederci siamo noi, i secondi sono i nostri amici e familiari: per i primi possiamo fare qualcosa e per farlo e nel farlo riprenderei una frase dd De Mello, autore a me caro, e che recita più o meno queste parole credi nei miracoli, in quelli che puoi fare anche tu.  

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